I lavoratori portuali dei paesi della NATO lanciano un segnale contro il genocidio a Gaza

Nel porto di Ancona. © Münzenberg Medien, foto: Stefan Pribnow, luogo e data dello scatto: Ancona, 9.5.2025

Berlino, Germania (Weltexpress). Per protestare contro la complicità dei governi dei loro paesi nel genocidio israeliano nella Striscia di Gaza, i lavoratori portuali di diversi paesi europei bloccano le navi, come quelle della compagnia statale israeliana ZIM, che dovrebbero prelevare armi in Europa.

La scorsa settimana si è diffusa nei porti europei una forte protesta contro la devastante offensiva dei sionisti nella Striscia di Gaza. Questo movimento è più di uno sciopero, è una rivolta morale contro una macchina da guerra che porta morte e distruzione su una popolazione civile innocente.

I lavoratori portuali da Genova a Marsiglia alla Spagna non vogliono solo mostrare un segnale di stop a Israele, ma anche dare un chiaro segnale al resto del mondo. Quest’ultimo tentativo fallisce però a causa del silenzio dei “media di qualità” occidentali, che ignorano deliberatamente azioni inappropriate come quelle dei lavoratori portuali per non allarmare i lettori e gli spettatori o, peggio ancora, per non indurli a riflettere.

La Spagna guida con un coraggioso embargo

La Spagna ha fatto un passo rivoluzionario sulla scena internazionale: agli aerei e alle navi militari statunitensi è stato vietato di utilizzare le basi di Rota e Moroni per il trasferimento di armi a Israele. Questa decisione, che affonda le sue radici in un patto di difesa del 1988, è un colpo di scena contro la logistica bellica. Il primo ministro Pedro Sánchez ha definito il conflitto di Gaza un “genocidio” e ha chiarito che nessun paese della NATO dovrebbe diventare complice di una guerra del genere. Mentre l’embargo della Spagna fa notizia, la vera ribellione infuria nei porti, dove i lavoratori portuali paralizzano le catene di approvvigionamento per Israele e attirano l’attenzione mondiale.

Resistenza a Genova e Marsiglia

Il 27 settembre 2025 a Genova, i lavoratori portuali del sindacato USB e del collettivo CALP hanno rifiutato di caricare la nave ZIM Virginia, che avrebbe dovuto trasportare dieci container di “merci pericolose” – presumibilmente esplosivi – verso Israele. Oltre 25.000 manifestanti hanno marciato per le strade gridando: “Non lavoriamo per la guerra!”. Hanno chiesto corridoi umanitari e la fine delle forniture di armi. Solo pochi giorni prima, il 24 settembre, i lavoratori portuali di Marsiglia-Fos, guidati dal sindacato CGT, avevano bloccato il carico della nave Contship Era dopo aver scoperto 14 tonnellate di componenti per mitragliatrici della Eurolinks che avrebbero potuto essere utilizzati nella Striscia di Gaza. “Il porto di Marsiglia-Fos non deve essere utilizzato per rifornire l’esercito israeliano!”, aveva dichiarato il portavoce della CGT Christophe Claret. Era già il terzo blocco a Marsiglia quest’anno, ispirato da azioni simili a Salerno e Scilla, dove anche i lavoratori italiani avevano impedito la consegna di armi a Israele.

Il movimento si espande

Le fiamme della resistenza divampano ben oltre i confini dell’Italia e della Francia. In Svezia, nuovo membro della NATO, già nel gennaio 2025 il sindacato dei lavoratori portuali aveva votato con il 68% a favore di un boicottaggio di qualsiasi commercio militare con Israele. L’attivista Erik Helgeson è stato quindi licenziato con il pretesto della “sicurezza nazionale”, un chiaro attacco alla libertà sindacale. In Grecia, nell’ottobre 2024, i lavoratori portuali del Pireo hanno bloccato 21 tonnellate di munizioni su una nave ZIM e nel luglio 2025 hanno fermato l’acciaio militare sulla Ever Golden.

Il sindacato militante PAME ha dichiarato: “I lavoratori portuali non saranno complici dello Stato assassino di Israele e dei suoi alleati: Stati Uniti, NATO e UE”. In Spagna, i lavoratori portuali di Barcellona hanno giurato già nel 2023 di non caricare armi destinate a Israele, una promessa ribadita dalle azioni di Genova. I porti belgi hanno introdotto divieti parziali, mentre a Ravenna i lavoratori italiani hanno bloccato due camion carichi di armi nel settembre 2025, scatenando scioperi a livello nazionale.

Sostegno politico nei paesi della NATO

Il movimento dei lavoratori portuali è rafforzato dai cambiamenti politici nei paesi della NATO, che aumentano la pressione su Israele. La Slovenia, un piccolo membro della NATO, è stato il primo paese dell’UE a introdurre nel luglio 2025 un embargo totale sulle armi, che vieta tutte le importazioni, le esportazioni e i transiti militari. Il primo ministro Robert Golob ha denunciato l’inerzia dell’UE, mentre la presidente Nataša Pirc Musar ha definito il conflitto di Gaza un “genocidio”.

Il Belgio e i Paesi Bassi hanno introdotto divieti parziali, l’Italia ha interrotto le forniture dall’ottobre 2023 e la Germania ha annunciato nell’agosto 2025 di voler interrompere le esportazioni verso la Striscia di Gaza, nonostante l’opposizione della CDU e il fatto che in Germania si sia trattato solo di un annuncio. Il Regno Unito, che ha riconosciuto la Palestina nel settembre 2025, ha promesso di non fornire parti di F-35 direttamente a Israele, mentre il Canada e la Francia sono stati criticati per le esportazioni nascoste.

Tensioni all’interno della NATO

La crescente tensione all’interno della NATO, dove gli impegni dell’alleanza si scontrano con gli imperativi umanitari, alimenta la determinazione dei lavoratori portuali che si oppongono alla logistica bellica dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO). A Genova, il 26 e 27 settembre 2025, i sindacati hanno chiesto che i porti del Mediterraneo diventino “zone libere da armi” e hanno minacciato di imporre blocchi commerciali completi se le flottiglie di aiuti umanitari per Gaza, come Global Sumud, fossero state ostacolate.

Effetti concreti e prezzo elevato

Le azioni dei lavoratori portuali stanno avendo effetti concreti: i ritardi a Genova e Marsiglia sono costati milioni alle aziende di logistica e hanno costretto la ZIM a deviare verso porti in Germania, ad esempio, ovvero in paesi in cui il sostegno al genocidio sionista continua. In Italia, i sindacati fanno riferimento a una legge del 1990 che vieta l’esportazione di armi nelle zone di guerra e pianificano uno sciopero generale “Disarmiamoli” per giugno 2026.

Ma la resistenza ha il suo prezzo: in Svezia l’attivista Helgeson è stato licenziato e a Milano, il 22 settembre 2025, si sono verificati violenti scontri quando migliaia di lavoratori hanno denunciato la complicità dell’Italia. Tuttavia, il movimento rimane intatto, ispirato dai sindacati palestinesi che nel 2023 hanno invitato a sabotare la macchina da guerra israeliana. A Bogotá, nel luglio 2025, dodici Stati non membri della NATO hanno dichiarato un embargo totale contro Israele.

Un faro di umanità spento dai pirati sionisti

La recente pirateria sionista contro la “Global Sumud (GAZA) Flotilla (GSF)” da parte delle forze speciali israeliane ha suscitato aspre critiche in tutto il mondo. La flottiglia, composta da oltre 40 navi e circa 500 attivisti provenienti da almeno 44 paesi – tra cui cittadini statunitensi, britannici, belgi, spagnoli, malesi, turchi e colombiani – voleva portare aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e rompere l’illegale blocco israeliano. Soldati israeliani pesantemente armati hanno abbordato le navi in acque internazionali, a circa 70 miglia nautiche dalla costa, e hanno catturato centinaia di passeggeri, tra cui l’attivista svedese Greta Thunberg.

Questa azione è considerata a livello internazionale una chiara violazione del diritto internazionale, poiché le navi in acque internazionali godono del diritto di libero passaggio. In tutto il mondo l’operazione israeliana è stata definita “pirateria” e “atto terroristico”. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan l’ha definita ‘banditismo’ e ha criticato i “politici fascisti e militaristi” del governo Netanyahu, che opprimono non solo i palestinesi, ma tutti i resistenti.

Il presidente colombiano Gustavo Petro è andato oltre: ha dichiarato l’espulsione dei diplomatici israeliani e la rescissione dell’accordo di libero scambio, ha chiesto il rilascio dei cittadini colombiani e ha parlato della necessità di intentare cause davanti ai tribunali israeliani. Il Sudafrica ha invitato Israele a lasciare entrare il carico salvavita nella Striscia di Gaza e ha sottolineato la solidarietà con l’impresa della flottiglia. Il governo pakistano e il primo ministro malese Anwar Ibrahim hanno condannato l’“intimidazione e la coercizione” di civili disarmati come una violazione della coscienza mondiale.

Amnesty International ha sottolineato l’illegalità dell’operazione e ha messo in guardia dal continuo affamamento della Striscia di Gaza causato dal blocco in atto dal 2007. L’Autorità palestinese e Hamas hanno definito l’azione “terrorismo marittimo” e violazione delle acque territoriali palestinesi. Reporter senza frontiere (RSF) ha criticato la detenzione dei giornalisti a bordo, mentre gli esperti delle Nazioni Unite e la Corte internazionale di giustizia (IGH) hanno ricordato precedenti sentenze contro il sequestro illegale di navi e i blocchi.

Gli equipaggi e i passeggeri sequestrati – tra cui deputati, avvocati e attivisti – sono stati incarcerati senza poter accedere alle rappresentanze consolari a cui hanno diritto secondo il diritto internazionale. I video trasmessi in diretta mostrano come le truppe israeliane abbiano utilizzato idranti e luci accecanti prima di abbordare le navi e agire in parte con violenza brutale contro i passeggeri. Amnesty International ha espresso profonda preoccupazione soprattutto per i delegati arabi e gli attivisti filopalestinesi, che sono oggetto di una campagna diffamatoria sionista.

In tutto il mondo, decine di migliaia di persone hanno protestato contro questa “barbarie” in città come Istanbul, Atene, Buenos Aires, Roma, Berlino e Madrid. Questa azione sottolinea anche la continua protezione di cui gode Israele, grazie ai suoi protettori occidentali, che consentono ai criminali del regime di Netanyahu di restare impuniti.

Con almeno 66.000 morti nella Striscia di Gaza, di cui un terzo bambini, la resistenza dei lavoratori portuali è più di una semplice protesta, ma un’azione concreta contro il cordone ombelicale di Israele, ovvero l’importazione di armi e dei loro prodotti intermedi. “Niente più chiodi per Israele!”, ha gridato Riccardo Rudino a Genova, minacciando: “Se le flottiglie di aiuti umanitari vengono attaccate, paralizzeremo tutta l’Europa”. Questo fa nascere la speranza.

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