Berlino, Germania (Weltexpress). Una panoramica delle interazioni tra Stati Uniti, Iran, Israele, Arabia Saudita, Russia, Cina e altri attori nelle ultime quattro settimane in questa regione sempre più instabile.

Il crogiolo mediorientale di rivalità geopolitiche, conflitti bellici e alleanze mutevoli ha vissuto nelle ultime quattro settimane, dal 23 marzo al 20 aprile 2025, un’altra ondata di sviluppi in parte raccapriccianti, ma anche promettenti. L’interazione tra le potenze – in particolare Stati Uniti, Iran, Israele, Arabia Saudita, Russia e Cina – si è intensificata, caratterizzata da negoziati sul nucleare, rumori di guerra e manovre diplomatiche in una regione che si trova sull’orlo di un’escalation incontrollabile. Sullo sfondo della

fragile fase di transizione in Siria, controllata dalla branca terroristica di Al Qaeda Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), che ora riceve un massiccio sostegno finanziario dall’Occidente,

dell’inesorabile conflitto nello Yemen, aggravato dai bombardamenti statunitensi sulla società civile locale, e alla luce

gli sforzi continui del governo sionista di estrema destra e apartheid per portare a termine il genocidio a Gaza con l’affamamento delle famiglie palestinesi ancora sopravvissute,

si sta spostando l’equilibrio geopolitico tra le superpotenze e le grandi potenze coinvolte, come Stati Uniti, Cina e Russia, con Arabia Saudita e Iran che attualmente emergono come attori centrali.

Cominciamo con uno sguardo più attento ai negoziati sul nucleare e al confronto tra Stati Uniti e Iran, che sono al centro degli ultimi sviluppi. Da parte degli Stati Uniti non si tratta solo di impedire all’Iran di sviluppare armi nucleari, che l’Iran non possiede né intende possedere, come annunciato anche da analisi dei servizi segreti statunitensi diffuse pubblicamente. No, ignorando il crollo dei pilastri del loro potere, le élite statunitensi a Washington continuano a sentirsi i padroni dell’universo. Ciò diventa particolarmente pericoloso quando Washington, nella sua presunzione, agisce come se fosse onnipotente, ad esempio quando Trump vuole vietare all’Iran, nazione con una cultura millenaria, lo sviluppo di qualsiasi tecnologia nucleare civile per scopi medici e altri scopi pacifici.

Allo stesso tempo, il presidente Trump sostiene personalmente questo divieto con minacce di guerra brutali. A Washington e in tutto l’Occidente bellicoso regna un silenzio di tomba sulle duecento-trecento armi nucleari, compresi i sistemi di lancio, di cui dispone lo Stato sionista aggressore e genocida di Israele.

Il 12 aprile 2025, a Muscat, capitale dell’Oman, si è profilato un barlume di speranza che le crescenti tensioni tra l’Iran e gli Stati Uniti non sfuggissero al controllo. Quel giorno sono ripresi i colloqui indiretti tra i due antagonisti, durante i quali il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi e l’inviato speciale statunitense Steve Witkoff hanno discusso, tramite un mediatore, quindi non in un faccia a faccia, della ripresa dell’accordo nucleare internazionale dell’ONU, unilateralmente strappato da Trump durante il suo primo mandato. Un secondo round di negoziati si è tenuto a Roma dal 19 al 20 aprile, durante il quale gli Stati Uniti hanno insistito affinché, oltre al divieto di arricchimento dell’uranio, l’Iran rinunciasse anche al suo programma missilistico e cessasse il sostegno a gruppi come Hezbollah e gli Houthi.

L’Iran, invece, ha insistito sulla sua sovranità e ha chiesto in cambio che gli Stati Uniti rispettino l’accordo originale e revocino le sanzioni unilaterali e contrarie al diritto internazionale contro l’economia iraniana! Allo stesso tempo, l’avvertimento di un consigliere del governo iraniano a Washington ha suscitato scalpore. Egli aveva affermato che se gli Stati Uniti e Israele avessero attaccato le infrastrutture civili iraniane, Teheran non avrebbe avuto altra scelta che sviluppare armi nucleari, il che evidenzia l’alta posta in gioco dei negoziati in Oman.

In cambio, gli Stati Uniti hanno ribadito la loro disponibilità a proseguire i colloqui con l’Iran con la creazione di una massiccia minaccia militare. Stanno trasferendo pesanti bombardieri stealth B-2 a Diego Garcia, una base statunitense nell’Oceano Indiano, che si trova a portata dei bombardieri iraniani e, viceversa, a portata dei missili ipersonici iraniani. Allo stesso tempo, le portaerei USS Carl Vinson e USS Harry S. Truman sono già nella regione. Il ministro della Difesa Pete Hegseth ha inoltre minacciato un intervento deciso contro le minacce dell’Iran o dei suoi alleati.

L’Iran non sembra impressionato dalla danza di guerra di Washington e presenta invece le sue “città missilistiche” sotterranee, rafforzando al contempo la sua difesa aerea, con le basi statunitensi nella regione e le infrastrutture energetiche degli alleati degli Stati Uniti che sarebbero le prime a essere colpite dai missili. Solo pochi giorni fa sembrava imminente il pericolo di un conflitto che avrebbe potuto scoppiare per una piccola provocazione. Tuttavia, gli ultimi giorni sembrano aver dimostrato che tutte le parti, ad eccezione di Israele, hanno valutato attentamente le loro mosse per evitare una guerra su vasta scala.

Israele-Iran: una bomba a orologeria

La guerra segreta di Israele contro l’Iran continua a intensificarsi, con i sionisti che cercano di sfruttare la posizione indebolita dell’Iran attraverso la decimazione dei suoi alleati regionali (Hezbollah in Libano e la vittoria della filiale di Al Qaeda Hay’at Tahrir al-Sham in Siria). Notizie attendibili, ad esempio quelle riportate dal New York Times, indicano che Israele aveva pianificato attacchi contro gli impianti nucleari iraniani nella settimana prima di Pasqua, ma che questi sono stati impediti dal presidente Trump in persona. Trump aveva già respinto i piani di attacco israeliani nell’ottobre 2024, quindi prima delle elezioni. L’Iran ha avvertito che qualsiasi attacco potrebbe scatenare un conflitto regionale, alimentando anche negli Stati Uniti i timori per le conseguenze economiche di una guerra su vasta scala nella regione.

Nel frattempo, proseguono le operazioni militari israeliane contro la popolazione civile a Gaza e, in misura crescente, anche in Cisgiordania, con l’obiettivo di espellere etnicamente gli abitanti. In Libano, Hezbollah ha subito perdite significative, mentre gli attacchi aerei israeliani in Siria, ad esempio contro la base aerea di Tiyas, hanno lo scopo di inviare un messaggio di avvertimento all’Iran e di scoraggiare la crescente presenza della Turchia in Siria. Gli Stati Uniti sostengono le azioni di Israele, ma chiedono moderazione per evitare una spirale di ritorsioni. Inoltre, negli ultimi giorni sono state segnalate notizie di un ritiro di 600 soldati statunitensi dalla Siria, anche se secondo il Pentagono rimangono ancora 1400 soldati in sette basi statunitensi in Siria.

La danza diplomatica dell’Arabia Saudita con l’Iran

L’Arabia Saudita sta approfittando dell’occasione per rafforzare la sua influenza regionale, bilanciando abilmente rivalità e avvicinamento all’Iran. Il 17 aprile 2025, il ministro della Difesa Khalid bin Salman ha incontrato a Teheran i leader iraniani, tra cui la Guida Suprema Khamenei. In qualità di membro della famiglia reale saudita, Khalid bin Salma ha ribadito durante i colloqui che Riad non sosterrà né attacchi statunitensi o israeliani contro l’Iran, né un’offensiva terrestre contro gli Houthi nello Yemen. Ciò può essere visto come una risposta indiretta all’annuncio dell’Iran dell’ottobre 2024. All’epoca, Teheran aveva minacciato di distruggere gli impianti petroliferi e altre infrastrutture di qualsiasi paese della regione che avesse sostenuto Israele e messo a disposizione il proprio territorio per attacchi statunitensi/israeliani contro l’Iran.

L’alleanza dell’Iran con la Russia e la Cina

A causa del suo isolamento da parte dell’Occidente collettivo, l’Iran fa forte affidamento sulla Russia e sulla Cina. Nell’aprile 2025, il ministro degli Esteri Araghchi si è recato a Mosca per coordinare le strategie in vista dei negoziati sul nucleare con gli Stati Uniti, mentre il presidente cinese Xi Jinping ha ribadito il suo sostegno all’Iran durante il vertice BRICS, sottolineando una posizione anti-imperialista comune. Questa cooperazione si estende agli alleati dell’Iran, con la società cinese Chang Guang Satellite Technology Co. che fornisce supporto di intelligence agli Houthi insieme alla Russia e all’Iran, nonostante le proteste degli Stati Uniti.

La Russia, dal canto suo, dopo la caduta di Assad si trova di fronte alla decisione di ritirarsi dalla Siria e abbandonare le sue basi aeree e navali nel Paese o di rimanere sul posto in condizioni precarie e mantenere un residuo di influenza in Siria. Ironia della sorte, è stato proprio il nuovo governo di transizione siriano guidato dalla costola di Al Qaeda a chiedere ai russi di rimanere nelle basi e di negoziare nuovi diritti di permanenza. Ciò può essere visto come un tentativo di proteggersi da attacchi più massicci da parte di Israele.

Allo stesso tempo, il governo di transizione di Damasco continua a consolidare il proprio potere. Sta stringendo accordi con le milizie druse e le “Forze democratiche siriane” curde per integrare i combattenti e marginalizzarli dal punto di vista politico. Nel frattempo, l’Arabia Saudita e altri Stati arabi stanno mettendo a disposizione fondi per stabilizzare la transizione in Siria sotto l’egida sunnita e contrastare l’influenza sciita dell’Iran nel Paese. L’Arabia Saudita non sembra avere riserve sulla presenza russa nelle basi siriane. Probabilmente i russi presenti nelle basi sono visti come un ostacolo a potenziali aggressioni territoriali da parte della Turchia, ma anche di Israele, nella strategicamente lucrativa regione costiera siriana.

In Yemen, gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno intensificato i loro attacchi aerei contro gli Houthi, con il Comando Centrale degli Stati Uniti (CENTCOM) in Germania che ha lanciato 27 attacchi il 14 aprile di quest’anno. I colloqui su un’offensiva terrestre delle forze armate yemenite sostenuta dagli EAU stanno prendendo piede, ma l’Arabia Saudita agisce con cautela per evitare ritorsioni da parte degli Houthi contro gli impianti petroliferi sauditi. Tutto questo è solo la punta visibile di complesse reti di alleanze regionali che possono cambiare da un giorno all’altro.

Il Medio Oriente rimane una polveriera, con le minacce di Israele contro l’Iran e le abili manovre dell’Arabia Saudita per espandere la propria influenza. La caduta di Assad, l’indebolimento degli alleati dell’Iran e i conflitti in corso nello Yemen e a Gaza hanno spostato il potere a favore di Riad e Gerusalemme, ma il sostegno di Russia e Cina all’Iran garantisce un contrappeso.

Nelle prossime settimane saranno di cruciale importanza i negoziati sul nucleare tra Stati Uniti e Iran e, grazie alla mediazione russa, gli ultimi sviluppi fanno sperare in un rapido successo degli sforzi diplomatici. Ne parleremo nella seconda parte. C’è speranza di una de-escalation, ma il rischio di errori di calcolo rimane, quindi non si può escludere un incendio di proporzioni maggiori.

Il movimento terroristico vicino ad Al Qaeda che svolge un ruolo centrale nel governo di transizione siriano è Hay’at Tahrir al-Sham (HTS). HTS, originariamente noto come Fronte al-Nusra, era un ramo diretto di Al-Qaeda in Siria. Sotto la guida di Ahmed al-Sharaa (noto anche come Abu Muhammad al-Jawlani), HTS ha ufficialmente rotto con Al-Qaeda nel 2016 e ha cambiato nome in Jabhat Fatah al-Sham, prima di riformarsi come HTS nel 2017. Nonostante questa presa di distanza, HTS continua ad essere classificata come organizzazione terroristica dalle Nazioni Unite, dall’UE e dagli Stati Uniti, a causa dei suoi legami storici con Al-Qaeda e delle sue radici estremiste.

HTS è la forza dominante nel governo di transizione siriano formato dopo la caduta del regime di Assad nel dicembre 2024. Ahmed al-Sharaa ha assunto il potere e incarichi importanti sono stati assegnati a membri di HTS, come Murhaf Abu Kasra, ex capo militare di HTS e in precedenza del Fronte al-Nusra, nominato nuovo ministro della Difesa.

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